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Il dubbio è lecito: per ottenere un prestito con cessione del quinto basta presentare domanda a un istituto di credito, o è necessario chiedere anche il consenso di chi paga lo stipendio? In realtà, la risposta non è univoca, in quanto gli obblighi del datore di lavoro variano a seconda che si parli di un ente pubblico o di un’azienda privata. Nel primo caso, la legge 180/50 sancisce un vero e proprio impegno, da parte delle istituzioni statali, ad accogliere automaticamente qualsiasi richiesta di questo genere, ferma restando la disponibilità da parte di un istituto di credito ad erogare il finanziamento. Per imprese e aziende tale obbligo non esiste, poiché - pur essendo stata estesa ai dipendenti privati la possibilità di ottenere il prestito con cessione del quinto - non risulta applicabile la medesima disciplina valida per gli enti pubblici. Se la richiesta viene accettata e il contratto è sottoscritto dal datore di lavoro, insorgono immediatamente due nuovi obblighi nei confronti di quest’ultimo. L’ente o l’azienda devono anzitutto provvedere a trattenere dalla busta paga del dipendente l’importo destinato a pagare le rate del finanziamento. Tale somma deve essere specificata nel contratto e, purchè rispetti i ben noti limiti del 20% dello stipendio entro un massimo di 10 anni, non è sindacabile dal datore di lavoro. È bene ricordare, però, che il rischio di insolvenza legato a sopravvenuta disoccupazione non è mai a carico dell’ente o azienda: in altre parole, se il dipendente viene licenziato, recede dal contratto, chiede un periodo di aspettativa o dà le dimissioni, per il datore di lavoro viene immediatamente a cadere l’obbligo di pagare le rate. Il Tfr, in ogni casò, dovrà essere versato alla banca che ha erogato il prestito, e verrà utilizzato per estinguere il debito in tutto o in parte.